Paul Klee

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Dipinti e acquerelli 1913 - 1940

Signore e signori, prendendo la parola qui, al cospetto dei miei lavori, che in verità dovrebbero parlare una loro propria lingua, mi chiedo preoccupato se vi sono motivi sufficienti e se riuscirò a farlo in maniera conveniente. Perché, se come pittore mi so in sicuro possesso dei mezzi per avviare altri nella direzione in cui io stesso sono spinto, dubito di poter indicar loro altrettanto sicuramente, con la parola, le vie da seguire. Ma a tranquillizzarmi è il pensiero che il mio discorso non si rivolge a voi come tale, isolato, ma che esso ha solo il compito di completare e precisare le impressioni, forse ancora un po' sfocate, suscitate dai miei quadri. Se ciò dovesse almeno in parte riuscirmi, ne sarò lieto, e il mio discorso avrà un senso. Allo scopo di evitare quanto più è possibile il biasimo del detto: "artista, lavora e non far chiacchiere," da parte mia vorrei prendere in considerazione soprattutto quelle fasi del processo creativo che durante lo sviluppo d'un lavoro artistico si svolgono più che altro nel subcosciente. Per me, personalmente, quest'è l'unica giustificazione del discorso d'un artista: spostare il centro di gravita osservando con nuovi mezzi, e così alleggerire alquanto l'aspetto formale volutamente sovraccaricato conferendo maggior vigore all'aspetto contenutistico. Mi piacerebbe ristabilire questo compenso, e mi renderebbe più familiare il compito di spiegarmi con concetti e parole. Ma questo significherebbe pensar solo a me stesso, dimenticando che la maggior parte di voi ha maggior familiarità coi contenuti che con le forme. Non potrò dunque fare a meno di spendere qualche parola anche sulle questioni formali. Vi aiuterò a dare uno sguardo all'officina d'un pittore dopodiché potremo intenderci meglio. Deve ben esistere un terreno comune a profani e artisti un terreno sul quale sia possibile un incontro, sul quale l'artista cessi di apparire qualcosa di estraneo. E appaia invece come un essere che al par di voi, non richiesto del suo parere, è stato gettato in un mondo proteiforme, in cui bene o male gli tocca raccapezzarsi. Un essere che differisce da voi solo perché sa cavarsi di impaccio coi suoi soli, specifici mezzi e che perciò a volte è forse più felice di chi non crea, di chi non può liberarsi creando. Vantaggio relativo, che vorrete ben concedere all'artista, il quale per altri riguardi si trova in una situazione alquanto difficile. Permettetemi di ricorrere a un paragone, il paragone con l'albero. In questo mondo proteiforme, l'artista si è dato da fare e, ammettiamolo, in parte almeno ci si è - alla chetichella - raccapezzato. È così bene orientato da poter imporre un ordine alla fuga delle parvenze e delle esperienze. Quest'orientamento nelle cose della natura e della vita, questo complesso, ramificato assetto, mi sia permesso di paragonarlo alle radici di un albero. Di là affluiscono all'artista i succhi che ne penetrano la persona, l'occhio. L'artista si trova dunque nella condizione del tronco. Tormentato e commosso dalla possanza di quel fluire, egli trasmette nell'opera ciò che ha visto. E come la chioma dell'albero si dispiega visibilmente in ogni senso nello spazio e nel tempo, così avviene con l'opera. Nessuno vorrà certo pretendere che l'albero la sua chioma la formi sul modello della radice; non v'è chi non si renda conto che non può esistere esatto rapporto speculare tra il sopra e il sotto. È chiaro che funzioni diverse devono,in diversi ambiti elementari, dar luogo a cose notevolmente diverse.Ma appunto all'artista a volte si vogliono interdire queste deviazioni dal modello, rese necessarie dai mezzi figurativi stessi, e si è spinto lo zelo fino a incolparlo di impotenza e premeditata falsificazione.E nonostante tale insufficienza dobbiamo occuparci a fondo delle parti.

Estratto del testo tratto dal catalogo Paul Klee - Galleria de' Foscherari 1971   Conferenza di Jena -  Paul Klee -  26 Gennaio 1924